Pescara: quel sogno breve chiamato Zeman
Non sono ancora spenti i riflettori sulla festa per il ritorno in serie A del Pescara di Zeman, osannato dai tifosi allo stadio Adriatico sabato notte e per le strade di tutta la città oggi che vi scrivo, domenica, non senza esaltazione e clamore. Nella città di D’Annunzio cortei improvvisati, sfilate, cori, bandiere biancazzurre sventolanti, clacson, facce festanti, hanno salutato il successo della squadra allenata dal mister ceco. Le stime parlano di circa ventimila persone solo oggi, per la festa in strada. Di certo ieri lo stadio brulicava di anime, parlo da testimone oculare, poiché ero lì anch’io a cantare a squarciagola!
Tra l’esultanza generale, lo schivo e taciturno praghese, classe 1947, sembrava proprio aver messo d’accordo tutti, una piccola squadra tornata grande, classificatasi prima nel campionato di serie B, giovane e frizzante come i suoi piccoli grandi uomini: Lorenzo Insigne, Ciro Immobile, Marco Verratti, improvvisamente celebri, lodatissimi, amatissimi, simpatici nella loro esuberanza giovanile e genuinità. Con loro abbiamo tutti sognato, vissuto emozioni esaltanti, gioito. Ma ora che la festa sta per finire il risveglio sembra davvero troppo brusco e repentino. Resto incredula della labilità di questo sogno, evanescente oltre ogni aspettativa. Zeman sarebbe ad un passo dal firmare un contratto con la Roma, mentre i palloncini biancazzurri e le bandiere col delfino sventolano ancora dai balconi delle case. Ma a cosa è servito? Mi domando… Senza Zeman, orfani dei piccoli grandi campioni che, come lui, emigreranno verso contratti più vantaggiosi, torneremo in serie B a fine anno. E allora? La disillusione è grande, amici miei, ma immagino già che starete sorridendo della mia ingenuità, sussurrandomi all’orecchio: «business is business»