Quel che resta dei System of a Down – parte 1

ATWA-Chop Suey-genocidio-armeno-SOAD-System-of-a-Down

Li abbiamo amati come la più travolgente e innovativa band rock-metal degli ultimi decenni, ci hanno regalato canzoni indimenticabili come Chop Suey, commovente preghiera urbana rivolta ad un Dio lontano, forse perduto. Sono stati in molti coloro che hanno tentato di dare interpretazioni più o meno attendibili del testo, provando a capire a chi si riferissero frasi come quella del ritornello: «Io non penso che tu creda / Nel mio giusto suicidio / Io piango, quando gli Angeli chiedono di morire», di certo la disperata elegia nel suo alternarsi al ritmo frenetico e ossessivo delle note martellanti è di quelle che lasciano il segno nella storia del metallo pesante. Del resto i quattro fricchettoni di origine armena hanno da subito abituato i fan a contenuti impegnati e quasi ostici, come nel caso di ATWA, nella quale si ripercorre la tragica parabola del diavolo Manson che ha visto tutto il mondo passargli davanti, traslocando dalla cella di un penitenziario all’altra. Politicamente impegnati, hanno divulgato al mondo la tragedia del misconosciuto genocidio armeno, ad opera dei Giovani Turchi, negli anni 1915-1916.

La stessa canzone che dà il titolo al loro disco più clamoroso: Toxicity rivela una preoccupata attenzione per i temi ecologici e ambientalisti, più volte ribaditi dai componenti dei SOAD. (segue seconda parte)