6 volte luce!

Una delle grandi teorie che hanno cambiato la scienza e la visione dell’universo è stata sicuramente la teoria della relatività generale (del grande scienziato Einstein), che ha festeggia da poco 100 dalla sua prima pubblicazione (25 novembre 1915).
Sembra che per l’occasione, la natura abbia deciso di celebrare il centenario della scoperta dei suoi misteri attraverso un “dono di luce” in una scoperta fatta dall’Hubble Space Telescope. Le immagini che trovate pubblicate in questo numero, si riferiscono ad uno dei tanti “miraggi cosmici” che sono spiegabili proprio attraverso le equazioni del matematico più famoso del mondo, e che prevedono quell’effetto della curvatura dello spazio‑tempo tale da “deflettere” la luce nel suo cammino (per noi intuitivamente soltanto lineare).

immagine 1 - supernova x 4 apparizione nov 2014
Immagine del “miraggio cosmico” ripresa dal telescopio spaziale Hubble nel novembre del 2014: i 4 puntini di luce evidenziati nello zoom provengono effettivamente dall’unica supernova Refdsal che appare moltiplicata 4 volte grazie all’effetto lente gravitazionale (effetto croce di Einstein)

La prima prova osservativa della possibilità di una tale flessione (che non è legata al raggio di luce in se, ma al percorso curvo che la luce è “costretta” a compiere sotto la deformazione del tessuto spazio‑temporale operata da una grande massa gravitazionale) era già stata fatta osservando la posizione di alcune stelle durante l’eclissi solare del 1919 ad opera dello scienziato Arthur Eddington: le stelle, che in quel momento comparivano in anticipo rispetto all’ordinario ciclo giorno-notte, e che pian piano rimpiazzavano con la loro fioca luce quella del sole, nascosto dietro il disco lunare, non erano la dove ogni notte le si potevano vedere, ma erano leggermente spostate proprio per via della massa del sole che si interponeva tra l’osservatore terrestre e le stelle stesse, curvandone il percorso (questo meravigliò tanti, ma non coloro che avevano “fede” nei calcoli di Einstein).
Dopo questa prima conferma, si sono succedute centinaia di osservazioni e, seppur quella di cui vi metto all’attenzione è basata sullo stesso fenomeno fisico, questo “festeggiamento di luce” che vi propongo ha una doppia peculiarità, anzi “una peculiarità sestupla” come vedremo alla fine.
La prima peculiarità è dovuta al fatto che la sorgente gravitazionale che opera la curvatura dello spazio è un ammasso di galassie distante da noi la bellezza di circa 5 miliardi di anni luce. Un ammasso gravitazionale che, a differenza del sole del 1919, ha una massa incomparabilmente più grande e una geometria non affatto sferica ma complessa e variegata.
La seconda peculiarità è dovuta al fatto che la sorgente di luce non è una stella qualunque ma il raro evento galattico dell’esplosione di una supernova, distante da noi circa 9,3 miliardi di anni luce, ospitata da una remota galassia visualmente (e letteralmente) allineata con noi e l’ammasso gravitazionale di cui sopra.
Ci si potrebbe aspettare che il primo ammasso, vista la sua maggiore vicinanza e la sua maggiore grandezza (rispetto ad una supernova così remota) dovrebbe coprire ogni segno di luce proveniente da ciò che gli sta dietro… ed invece, proprio per l’effetto di curvatura di Einstein, l’ammasso di galassie funge da “lente gravitazionale” capace non solo di farci vedere l’immagine della supernova, ma addirittura di moltiplicarla!

Third appearance of the Refsdal supernova
schema dell’effetto lente gravitazionale (e previsione dei percorsi della luce a seguito del modello matematico elaborato con i dati dell’avvistamento del 2014): la luce proveniente dalla supernova (ospitata in una galassia remota a 9,3 miliardi di anni luce) viene deflessa e moltiplicata 6 volte passando attraverso l’ammasso di galassie, per via della curvatura operata dall’ammasso stesso interposto tra osservatore e supernova. Copie dell’immagine della supernova appaiono in 6 punti e in 3 momenti diversi: nel 1998 (non osservato), nel 2014 (4 volte, con effetto “croce di Einstein”) e nel 2015 (effetto singolo).

E qui veniamo alla scoperta fatta dal telescopio spaziale Hubble intorno al novembre del 2014: la stupefacente immagine della supernova Refsdal (nome dato in onore dello scienziato che per primo ipotizzò di usare le supernovae in lente gravitazionale per studiare l’espansione del cosmo) che appariva moltiplicata 4 volte grazie ad un processo di lente gravitazionale noto come “croce di Einstein” (già osservato precedentemente con altri oggetti, ma per la prima volta osservato agire sulla luce di una supernova).
Gli scienziati, accortisi della straordinarietà della scoperta, dopo aver elaborato un modello matematico, basato sulle stesse leggi scoperte un secolo prima da Einstein, per spiegare il percorso che la luce della supernova aveva fatto per passare attraverso l’ammasso gravitazionale che fungeva da lente e arrivare a noi moltiplicata per 4, hanno fatto una scoperta nella scoperta, o meglio hanno “calcolato” la data di una futura scoperta.
Considerando la caotica distribuzione delle galassie nell’ammasso che funge da lente (e stimando anche l’azione della materia oscura oltre a quella visibile) il modello matematico prevedeva che la luce dell’antica supernova avrebbe dovuto presentarsi non solo 4 volte (in un’unica occasione) ma anche in due momenti distinti: una volta (già passata, senza osservazione) nel 1998, e un’altra di lì ad un anno in un particolare punto dell’ammasso. Detto in altra maniera, la stessa luce sarebbe ritornata ancora attraverso percorsi differenti, più o meno lunghi!
Da ottobre 2015, dunque, Hubble cominciò a tener d’occhio la zona prevista e, come una promessa che si realizza, l’11 dicembre 2015 un puntino di luce, proveniente dalla solita supernova Refdsal ai confini dell’universo, ha impressionato i pixel della camera del telescopio spaziale, donandoci la sestupla luce di quella remota esplosione che ancora una volta confermava la nostra bravura nel leggere il grande libro della natura.

immagine 2 con date

Immagine del “miraggio cosmico”, stavolta prevista in anticipo dal modello matematico, ripresa dal telescopio spaziale Hubble nel dicembre 2015: il piccolo puntino, evidenziato nell’immagine in bianco e nero di “December 11,2015” rappresenta il ritorno della luce di supernova per la sesta volta, stavolta dopo essere passato per un “percorso più lungo” rispetto ai precedenti.

Che dire di questo evento? Che dire della luce che illuminò il pensiero del grande matematico? Che dire della precisione con cui la luce della supernova è arrivata per essere messa a confronto con la teoria centenaria? Che dire dell’affascinante combinazione della scoperta della materia oscura (di cui al tempo di Einstein nemmeno si supponeva la possibilità!) senza la quale non si sarebbe potuto fare un modello matematico atto a prevedere le deviazioni di luce operate dalla forza gravitazionale di tutto l’ammasso? Che dire poi dell’uso di tanti calcolatori che hanno effettivamente operato quei calcoli necessari per darci le coordinate su cui puntare il telescopio?
Rimango affascinato dal grande gioco di squadra che scienza prima e tecnologia dopo compongono affinché l’uomo continui a meravigliarsi di quei piccoli puntini di luce che guizzano sfavillanti nel buio della notte. Con le parole di Kant potremmo concludere: due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: la legge morale in me e il cielo stellato … sopra di me!
E se anche le stelle muoiono ed esplodono e la loro luce svanisce meravigliosamente, l’augurio finale che rivolgo a tutti è quello di una santa Pasqua di resurrezione con il nostro Signore Gesù Cristo: ove la luce sarà moltiplicata in eterno.

(A cura dell’ing. Marco Staffolani)

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ROSETTA accende il DIBATTITO SULL’ORIGINE DEGLI OCEANI DELLA TERRA

La Sonda Rosetta dell’ESA ha trovato che il vapore acqueo dalla sua cometa obiettivo è significativamente diverso da quello trovato sulla Terra.La scoperta accende il dibattito sull’origine degli oceani del nostro pianeta.

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Le prime misure del rapporto acqua dalla cometa 67P / di CG Credits: Spacecraft:. ESA / Medialab ATG; Comet: ESA / Rosetta / NavCam; Dati: Altwegg et al. 2014

Le misurazioni sono state effettuate nel mese successivo all’arrivo della sonda sulla cometa 67P / Churyumov-Gerasimenko il 6 agosto. È uno dei primi risultati più attesi della missione, perché l’origine dell’acqua terrestre è ancora una questione aperta.
Una delle ipotesi principali sulla formazione della Terra è che era così calda quando si formò 4,6 miliardi anni fa, che il contenuto di acqua originale deve essere completamente evaporato. Ma, oggi, i due terzi della superficie è coperta d’acqua, dunque da dove proviene?
In questo scenario, l’acqua sarebbe stata portata dopo che il nostro pianeta si è raffreddato, molto probabilmente da collisioni con comete e asteroidi. Il contributo relativo di ciascuna classe di oggetti alla presenza di acqua sul nostro pianeta è, tuttavia, ancora dibattuto.
La chiave per determinare da dove l’acqua si sia originata è nel suo ‘sapore’, in questo caso la percentuale di deuterio – una forma di idrogeno con un neutrone addizionale –rispetto all’idrogeno normale.

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Rapporto deuterio-to-idrogeno nel Sistema Solare Credits:. I dati di Altwegg et al. 2014 e riferimenti ivi

Questa percentuale è un indicatore importante della formazione e dell’evoluzione iniziale del sistema solare, infatti le simulazioni teoriche mostrano che questo rapporto dovrebbe cambiare in funzione della distanza dal Sole e del tempo nei primi milioni di anni.
Un obiettivo chiave è quello di confrontare il valore di questo rapporto per i diversi tipi di oggetto con quello misurato per gli oceani della Terra, al fine di determinare quanto ogni tipo di oggetto può aver contribuito all’acqua della Terra.
Le comete in particolare sono strumenti unici per sondare l’infanzia del Sistema Solare: il loro materiale originario è lo stesso del disco protoplanetario da cui si sono formati i pianeti, e quindi dovrebbero riflettere la composizione primordiale dei loro luoghi di origine.
Ma a causa della dinamica del giovane sistema solare, questo non è un processo cosi lineare. Le comete di lungo periodo che provengono dalla lontana nube di Oort originariamente si sono formate nella regione di Urano-Nettuno, abbastanza lontano dal Sole tanto che il ghiaccio dell’acqua primordiale si è conservato intatto.
In seguito sono stati sparsi nei più lontani confini del Sistema Solare come risultato delle interazioni gravitazionali con i pianeti giganti gassosi che si stavano formando e fissando nelle loro orbite.
Al contrario, le comete della famiglia di Giove, come la cometa di Rosetta, si pensava che si fossero formate più lontano, nella fascia di Kuiper oltre Nettuno. Di tanto in tanto questi corpi sono disturbati dalla loro posizione e inviati cosi verso il sistema solare interno, dove le loro orbite diventano controllate dall’influenza gravitazionale di Giove.

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Illustrazione che mostra le due principali riserve di comete del sistema solare: la fascia di Kuiper, ad una distanza di 30 a 50 UA dal Sole, e la Nube di Oort, che si estende fino a 10 000 UA dal Sole Credit: ESA

In effetti, la cometa di Rosetta ai nostri giorni viaggia attorno al Sole tra le orbite della Terra e di Marte nel suo punto più vicino e appena al di là di Giove nel suo punto più lontano, con un periodo di circa 6,5 ​​anni.

Misurazioni precedenti del rapporto deuterio / idrogeno (D / H) in altre comete hanno mostrato una vasta gamma di valori. Delle 11 comete per le quali sono state fatte tali misurazioni, solo la cometa 103P / Hartley 2, appartenente alla famiglia delle comete gioviane, ha la stessa dell’acqua della Terra, in accordo con le osservazioni fatte dalla missione Herschel dell’ESA nel 2011.

Al contrario, anche per dei meteoriti, originariamente provenienti dalla fascia degli asteroidi, si ha una corrispondenza secondo la composizione dell’acqua della Terra. Pertanto, nonostante il fatto che gli asteroidi hanno un contenuto d’acqua complessivamente molto inferiore, l’impatto di un gran numero di essi potrebbe essere la spiegazione degli oceani terrestri.

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Comet 67P / CG su 20 novembre 2014.Credits: ESA / Rosetta / NAVCAM – CC BY-SA 3.0 IGO

E’ in questo contesto che le indagini di Rosetta sono importanti. È interessante notare che il rapporto D/H misurato dallo spettrometro del Rosetta Orbiter for Ion e Neutral Analisys, o ROSINA, è più di tre volte superiore a quello degli oceani della Terra e della sua compagna della famiglia gioviana, la cometa Hartley 2. Infatti, è ancora più alto di quanto misurato anche per qualsiasi cometa della nube di Oort.

Questa scoperta sorprendente potrebbe indicare un’origine diversa per le comete della famiglia di Giove – forse esse si sono formate su una più ampia gamma di distanze nel giovane sistema solare di quanto si pensasse in precedenza“, dice Kathrin Altwegg, ricercatore principale per ROSINA e autore principale dello studio che riporta i risultati sulla rivista Science di questa settimana.

La nostra scoperta esclude l’idea che le comete della famiglia di Giove contengono esclusivamente comete che abbiano composizione del ghiaccio come quella degli oceani terrestri, e ridà importanza ai modelli che pongono maggiormente l’accento sugli asteroidi come il meccanismo principale che ha portato alla formazione degli oceani terrestri.

Sapevamo che l’analisi in situ di Rosetta di questa cometa avrebbe dato delle sorprese per il quadro più ampio della scienza sistema solare, e questa eccezionale osservazione certamente accende ancora di più il dibattito circa l’origine dell’acqua della Terra,” afferma Matt Taylor, Rosetta Project Scientist.

Man mano che Rosetta continuerà a seguire la cometa nella sua orbita intorno al Sole per tutto il prossimo anno, faremo particolare attenzione a come la cometa si evolve e si comporta, e questo ci darà una visione unica riguardo al misterioso mondo delle comete e alla comprensione del loro contributo nell’evoluzione del sistema solare.”

http://www.esa.int/Our_Activities/Space_Science/Rosetta/Rosetta_fuels_debate_on_origin_of_Earth_s_oceans

Traduzione a cura dell’ing. Marco Staffolani

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