Albakiara: la generazione K cattiva e senza ideali
Il film Albakiara, in uscita nelle sale, del regista Stefano Salvati, narra con crudezza le vite sbandate e senza regole, amorali e corrotte dei ragazzi della generazione “K”. Sesso estremo, droga a vagonate, esistenze vuote di contenuto votate unicamente allo sballo e al vorace consumo di sé, degli altri, di sostanze stupefacenti, del tempo stesso, bruciato in fretta senza mai fermarsi a pensare, a guardarsi dentro.
Il titolo, neanche a dirlo, è mutuato dalla celebre canzone di Vasco Rossi, per il quale il regista ha girato in passato numerosi videoclip. La ragazza della canzone, descritta come sincera e pulita, qui è totalmente priva di pudori e ingenuità, ne combina di tutti i colori, pur serbando dentro se una sorta di universo infantile, indice di una totale mancanza di maturità.
Il regista sostiene di essere ROCK, al contrario dell’aborrito Federico Moccia che paragona a Liala, nota scrittrice rosa. La sua opera è priva di sdolcinatezze, di abbellimenti, è cruda al limite della spietatezza. Ma è lecito domandarsi: è utile far propaganda a tali stili di vita? Alle torte alla cocaina, alla promiscuità sessuale di anime perse, prive di senso di sé, di rispetto per il proprio corpo e di ogni regola morale?
Tra gli attori c’è il figlio di Vasco, Davide Rossi, ragazzotto palestrato con un’aria spavalda da fighetto che non mancherà di affascinare gli spettatori adolescenti della pellicola, specialmente le ragazze, stimolando inevitabilmente spirito di emulazione.
Sicuramente non basta far pubblicità ai buoni sentimenti per diffonderli ma temo che mettere sempre l’accento sul male e sul peggio non giovi a nessuno, specialmente alle giovani generazioni. Forse servirà a regista e produttore a registrare buoni incassi al botteghino, perché le storie maledette con fama di proibito vanno inevitabilmente per la maggiore. A me piacerebbe un cinema che racconti di un’altra gioventù, dei figli degli operai e degli emigrati che si arrabattano per studiare e costruirsi un futuro, sacrificandosi ogni giorno, dei ragazzi che spendono la propria vita in fabbrica o nei cantieri, della gioventù sana che esiste e lotta quotidianamente per la propria dignità senza far rumore. Vorrei che qualcuno descrivesse quanto sia dirompente e rivoluzionaria la normalità di giovani generazioni che vivono senza sballo, senza cocaina, senza bruciarsi il cervello. Purtroppo si tratta di storie senza risvolti scabrosi
che non stimolando la morbosità dello spettatore, si sa, non fanno cassetta.
di fondo però il regista vuole mandare un messaggio: entra a far parte di quel mondo, e sei MORTO…forse questo è un messaggio che solo con immagini forti, si può trasmettere a giovani che davvero forse sono in balia di sè stessi
Le immagini “forti” sono presentate come un lungo elenco gratuito, senza critica sociologica, senza un commento morale. Un serie di clip male collegati tra loro tra il serio ed il faceto, dove sembra che tutto il mondo tiri di coca e faccia sesso dove capita.
Una visione onanistica di una gioventù (che non è così) che si compiace della sua perversione superficiale, senza nè capo nè coda. Alcuni effetti speciali peggiori di quelli dell’Anitra WC.
Credo che Carlo Lucarelli sia davvero uno scrittore di talento. Ma sinceramente mi chiedo dove fosse veramente, mentre credeva di scrivere una sceneggiatura con Stefano Salvati.
Il risultato? Un pout pourri di riferimenti cinematografici e televisivi, che nell’ipotesi più proficua proveremo a chiamare “omaggi allo stile” Proviamo ad elencare i più evidenti (segue)
Speriamo che Lucarelli abbia solo dato il suo nome in cambio di soldi.
E’ evidente come non ci sia un problema di low budget, ma sia proprio un film fatto male, dalla trama, che non regge, agli attori, che non sanno recitare, alla regia, che è disastrosa.
Ci si chiede come un regista che vanta anni di esperienza in un campo diverso si sia avventurato nel cinema con un simile flop.